Zc 9, 9-10 – Sal 145 – Rm 8, 9, 11-13 – Mt 11, 25-30

 In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.
Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero».

Commento al Vangelo della Domenica di don Gianni Baget Bozzo

 

Dio nel mondo: il Cristo crocifisso

 

Forse Gesù avrà visto un uomo portare la croce su cui essere crocifisso: i romani amavano questo supplizio umiliante, riservato agli schiavi. Il supplizio degli schiavi ribelli: una lunga litania di croci aveva segnato la ribellione di Spartaco. 

In quella croce avrà letto il suo futuro. A un certo momento della storia evangelica, la croce non era per Gesù solo un’evidenza profetica, ma una previsione politica.

Egli aveva coalizzato contro di sé tutti i poteri: e quello totale, quello romano, crocifiggeva. Prendere la croce voleva dire portare la sofferenza inflitta dagli uomini o dalla natura.

Accettarla significava compiere la volontà di Dio e essere così discepolo di Cristo. «Chi avrà trovato la sua vita, la perderà. E chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà». Chiunque ha dato la sua vita a Cristo, ha trovato la sconfitta nel mondo.

La sconfitta mondana è il segno certo dell’appartenenza a Cristo. Il successo mondano lo è per un certo tempo e in un certo modo. Poi anche esso è una via alla croce. Dio nel mondo è il Cristo crocifisso, lo Spirito Santo conduce ogni discepolo sulla via del suo Signore. Non è segno di Cristo la ricchezza e non lo è nemmeno la povertà. La croce, che bussa ai palazzi e ai tuguri, è il segno di Cristo. E lo è prima e principalmente la croce scelta per amore della verità. Sono le parole più impegnative che Gesù rivolge ai discepoli.

Egli non vuole essere seguito come un operatore di guarigioni e di miracoli, egli porta in sé il mistero della sofferenza divina, come dei partecipi del mistero del Dio crocifisso.

Il discepolo diviene così, nella accettazione della croce, una sola cosa con il Cristo. «Chi accoglie voi accoglie me: e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato». Chi accoglie la sofferenza del Cristo accoglie il mistero Dio.

Siamo qui al cuore del Vangelo, alla densità profonda della persona e del messaggio di Gesù Cristo. Come lontano dall’altro grandissimo messaggio spirituale dell’umanità: quello di Buddha.

Buddha vuole eliminare dalla terra il dolore, vuole collocare lo spirito umano in una zona in cui il dolore non giunge, vuole operare una giuntura dello spirito, dell’anima e del corpo. Gesù invece comunica il dolore divino, non lo fugge ma lo accetta, perché esso fa parte dell’essenza del Dio che ha creato il mondo della libertà.

Certo molti discepoli del Cristo giungono al momento in cui sentono di aver perso la propria vita. Anche le loro vittorie terminano in esemplari sconfitte. Ma solo se il seme muore porta molto frutto. Quelle azioni chieste dal Signore non erano cose, erano semi, destinati a fecondare la terra.

Nel momento in cui si vede la propria vita perduta, la fede ci dice che essa è donata ad altri. Altro è chi semina, altro chi miete. E chi miete seminerà ancora. Questa è la storia di Gesù Cristo.

 

 

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