Dal Vangelo secondo Giovanni 10, 1-10

In quel tempo, disse Gesù: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è il pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita a l’abbiano in abbondanza».

Commento al Vangelo della Domenica di don Gianni Baget Bozzo

At 2, 14a.36-41
Sal 23
1 Pt 2, 20b-25
Gv 10, 1-10

E nel Vangelo Dio si fa uomo

Nel Vangelo di Giovanni il tema del buon Pastore risponde all’intenzione fondamentale dell’evangelista: dimostrare che Gesù è il Dio di Israele. Questo è il carattere singolare di questo Vangelo, unico rispetto agli altri: condurre alla identificazione di un uomo con Dio. Da un punto di vista storico, l’impresa era certamente impossibile: l’alterità di Dio rispetto all’uomo era un dato comune, in forma diversa, alla cultura ebraica come alla cultura greca.

Giovanni ci mostra un Gesù che non conosceremmo se avessimo solo gli altri Vangeli, anche se Gesù ha in essi un’autorità più che umana. Ma i Vangeli sinottici non ci di-cono mai con tale chiarezza la divinità del Cristo che fa il cristianesimo e il Dio del cristianesimo.

Per i cristiani Dio è Gesù Cristo, ed è questa la differenza radicale del cristianesimo dai monoteismi ebraico e islamico. Tanto più che è proprio la divinità ciò che Gesù comunica agli uomini: «Diede loro la potenza di divenire figli di Dio».

Quando il salmista canta «Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla», ci dà uno dei più bei testi dell’Antico Testamento sulla tenerezza divina. Il salmo descrive la dolce e forte mano di Dio che veglia sulla singola pecorella, la dedizione con cui si prende cura di tutte le sue necessità. Il Vangelo ci dà invece un inno di battaglia.

Chi parla ha l’autorità di Dio ma si situa dentro, non sopra il conflitto della storia. Egli vede innanzi a sé i lupi e sa che in quel caso, se li affronta, il pastore rischia la vita. Egli è l’unico, come il Dio di Israele: ma ha il coraggio e la debolezza dell’uomo. Anche la tenerezza del Dio del salmista ritorna nella voce dell’evangelista: le pecore conoscono la voce del pastore.

La voce del Signore risuona nei cuori umani. Come imparare a ascoltarla? Essa non viene dal di fuori di noi, ma risuona in noi dal nostro interno: è la nostra stessa voce, che ci parla dalla sua dimensione eterna, dal Regno dove Dio è tutto in tutti. Quando pensiamo alla preghiera, ci sovviene immediatamente la nostra domanda a Dio. Ma preghiera è anche silenzio, ascolto di Dio, lettura di pagine che ci avvicinano a lui.

Preghiera è anche ascolto di noi, ascolto della vita che pulsa in noi stessi, che emerge nei nostri desideri, nelle nostre paure. Gesù parla nel cuore: solo se abitiamo il nostro cuore, se amiamo noi stessi, se a noi stessi facciamo attenzione, possiamo ascoltare la voce del Risorto, che fa parlare nel tempo il nostro Io che Dio ama e conosce nell’eternità.

Gesù parla in noi se noi non sfuggiamo a noi nelle molte cose in cui si disperde la vita nel tempo. Se viviamo dentro di noi siamo liberi.

Questo Vangelo è spesso utilizzato per ricordare la dimensione pastorale dei vescovi e dei preti. Ma essi possono soltanto legittimamente indurre a ascoltare «l’unico Pasto-re delle anime», il Cristo che unisce il nostro essere in Dio al nostro esistere nel tempo.

Sarebbe stato meglio se nella Chiesa si fosse rispettata la concentrazione cristica del Nuovo Testamento, chiamando solo il Cristo sacerdote, signore, pastore, maestro, come egli stesso ha formalmente richiesto. Ma, mentre pur nell’angoscia, l’umanità cresce in vita interiore nelle singole persone, tutto ciò che si pone come potere, religioso o politico, sul cuore degli uomini, passa.

Il cardinale Newman aveva uno stemma che sempre ricordo: «Il Cuore parla al cuore». Quel motto indica proprio quello che questo Vangelo ci dice: solo il Cristo che parla nel nostro cuore parla dalla vita eterna. E la parola che egli dice rivela a noi stessi ciò che noi siamo.


I volumi dei tre anni di commenti al Vangelo della domenica di don Gianni Baget Bozzo (“Buona Domenica. Commenti ai Vangeli domenicali”) sono acquistabili in libreria, sul sito delle Edizioni Dottrinari o sui siti delle maggiori catene di librerie.

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