Quarta domenica di Pasqua
At 13, 14.43-52
Sal 100
Ap 7, 9.14b-17
Gv 10, 27-30
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
Commento al Vangelo della Domenica di don Gianni Baget Bozzo
Niente è più ingannevole delle buone motivazioni morali
Il Vangelo di oggi è una breve pericope del capitolo 10 di Giovanni. «Le mie pecore ascoltano la mia voce». Gesù parla nel cuore dei cristiani, la sua voce è donata a chi vuole ascoltarla. Il cristianesimo non consiste in opere, ma nell’«ascoltare la voce». Questo avveniva per i profeti nel tempo di Israele, ma i cristiani sono un popolo di profeti. E tuttavia non molti ascoltano la voce, o almeno pochi dicono di ascoltarla.
Esiste una vergogna innanzi all’intimità divina che Gesù ci offre. Sembra che il cristianesimo sia soltanto un insieme di impegni verso il prossimo, il prossimo ha sostituito Dio e noi stessi. Le pecore del Signore, come le chiama Gesù in questo brano evangelico, sono attente alla voce interiore, per esse la contemplazione è l’attività più alta e la sorgente della purezza nelle azioni. Le opere buone possono essere spesso compiute a detrimento della verità e dell’amore: per legittimarsi, giustificarsi, approvarsi. Niente è più spiritualmente ingannevole delle buone motivazioni morali.
«Io do ad esse la vita eterna». La vita eterna è la vita divina, quella che Dio ha in sé stesso, l’essenza della sua profonda gioia. La vita eterna è la gioia eterna. Essa sembra lontana dalla nostra esperienza. La violenza che è nel mondo non è figlia di gioia né madre di gioia. È vita mortale, esistenza di morte per la morte, altrui e propria. La violenza ha un fascino assoluto, è l’azione più attraente, in cui sesso e potenza si fondono. Violentare è possedere, dominare tutto l’altro. Conosciamo ora molte storie di desaparecidos in America Latina e abbiamo testimonianza di questa violenza pura, originaria, assoluta: morte eterna, inferno, inferno sulla terra. Come il paradiso, la vita eterna è sulla terra.
«Non andranno mai perdute, nessuno me le strapperà di mano». È questa una forte parola per i cristiani. Il battesimo ci pone nelle mani del Cristo, ci fa parte del suo corpo. Nel passato, e ancor oggi nella teologia protestante, si parla di predestinazione. È vero che ci sono grazie diverse, ma Dio vuole che tutti gli uomini si salvino nella conoscenza della verità. La voce del Cristo suona oltre i confini della Chiesa visibile, nel dono dello Spirito Santo che riempie la faccia della terra. Ma chi riceve il battesimo riceve subito la vita eterna. Nel giorno che è oltre la morte, in cui la vita eterna presente nel tempo rivela il suo volto divino ed eterno, il cristiano percepisce sé come parte del Cristo, gode la gioia eterna e la vita eterna.
«Nessuno può strapparle (le mie pecore) di mano al Padre mio». I cristiani appartengono, come Cristo, al Padre. E segue l’affermazione solenne: «Io e il Padre siamo una cosa sola». L’unità del Padre e del Figlio è affermata in pienezza. E le «pecore», i cristiani sono chiamati anch’essi a diventare «una cosa sola» con il Figlio e con il Padre.
Viviamo in tempi in cui la parenesi ha sostituito la catechesi, l’esortazione sta al posto della comunicazione della verità. Tanti cristiani pensano che bisogna rimpicciolire la grandezza della loro fede, renderla comune umanità. Non è così. Il mondo è salvato attraverso i cristiani perché in essi si rende presente la vita divina. «Conosci, cristiano, la tua dignità», diceva papa Leone I, in una nota omelia sul Natale. Sembra che di essa quasi ci si vergogni, si avverte il battesimo come un privilegio, mentre invece è una vocazione e una missione salvifica. Abbiamo quasi perso il senso della fede, del dono che essa è sulle nostre vite. Abbiamo perso il gusto dell’essere pecore del Cristo, figli del Padre, una sola cosa con lui. O almeno lo abbiamo perso nei segni, nel linguaggio, nel costume. Forse tutta la cristianità vive oggi sepolta e in attesa nella coscienza dei cristiani.
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