giovedì 14 maggio 2009

Un’amicizia lunga 60 anni

Il 28 febbraio 2009 Gianni mi ha detto al telefono: «Non durerò molto, mi sento senza forze… Mi sento tuttavia attaccato al filo della cosa politica e questo mi tiene legato alla vita. Abbiamo sempre parlato della nostra divinizzazione, ora la carne cede (lo sento per te ed anche per me) ed avverto più difficile farlo e desiderarlo: saremo uniti in eterno, spe salvi». 

Lo avevo conosciuto nel 1950 a Roma. Lui era già a Roma, mi pare per i gruppi giovanili della Dc. Io arrivavo, subito dopo la mia laurea, per dirigere Ricerca, il giornaletto quindicennale della Fuci. Ma ci incontrammo nell’ambiente della Chiesa Nuova. Io abitavo presso i pressi i padri Filippini, lui nella strada accanto, in via Chiesa Nuova 14, al primo piano, presso Domenicano; all’ultimo piano della stessa casa abitavano le sorelle Portoghesi, che davano ospitalità agli onorevoli Dossetti, Lazzati, Gotelli e Bianchini. Gianni aveva l’onore di avere i pasti, con gli altri ospiti, delle Portoghesi.

Dopo pochi mesi di conoscenza mi invitò ad andare ad abitare (con mio fratello Matteo) da Domenicano. Altri abitanti erano Filippo Ponti, Benedetto de Cesaris, Corrado Guerzoni. 

L’amicizia che è nata tra noi allora è durata senza interruzione fino all’ultimo suo giorno. Egli era per me, ed io per lui, come l’altra parte di noi stessi, l’amico a cui si poteva parlare come ad un alter ego, con una comunicazione totale. Resta il fatto che egli è sempre stato per me una guida spirituale e intellettuale. Da lui, prima che dalla lettura dei Padri greci, ho imparato il termine «divinizzazione» e ciò che significava, come ho da lui appresa la frase di Ireneo di Lione: «Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventi Dio». Questa era la fede del cristiano che attraverso la speranza e la carità lo rendeva cristico, altro Cristo, per forza dello Spirito Santo. Così la mistica, l’esperienza di Dio, la divinizzazione dell’uomo, appunto, diventava sempre più il nostro desiderio. 

Gianni ha avuto una profonda vita mistica, fatta, credo, soprattutto, di locuzioni, e ha lasciato una serie di quaderni dove per anni ha registrato i colloqui con Dio, come ha egli stesso rivelato nel suo libro Vocazione e nella breve autobiografia pubblicata su Panorama anni fa. Amava anche teneramente la Vergine Maria, che riteneva il modello della vita cristiana; per questo – immagino – desiderava diventare cappellano e custode di un santuario mariano.

A 14 anni o poco dopo aveva sentito la vocazione alla castità e il desiderio di farsi prete, era anche entrato in seminario, a Genova, ma la madre adottiva si oppose ed egli obbedì e si iscrisse poi a giurisprudenza. 

Come mai un uomo tutto-Dio, che viveva dentro l’esperienza del divino, si è dato – per così dire – alla politica, fin dalla sua militanza giovanissima nella Dc? I «quaderni» testimoniano che il Signore lo aveva formato poco per volta, con un duro e talvolta doloroso tirocinio, ad essere suo profeta nel nostro tempo. E profeta è chi guida gli atti umani nella storia, non è un consigliere di spirito, ma un suggeritore-proclamatore di azioni storiche. Anche la profezia di Gianni operava all’interno della Chiesa, anche se indipendente, come negli altri profeti, dall’autorità. E la Chiesa ha attraversato, almeno a cominciare dalla fine degli anni Cinquanta, e sino ad ora, un periodo di grandi turbamenti, al cui centro è il Concilio Vaticano II e alcune teologie che, manifestatesi anche in Concilio, hanno avuto poi più evidenti caratteristiche negative nel post-Concilio.

L’antropologismo teologico ha finito per favorire una secolarizzazione molto forte. Gianni ha sentito questo fenomeno forse prima di altri. Certo presto ha scritto, ritengo in profezia, di «eresia nascosta», nascosta nella Chiesa stessa. 

Si è fatto prete nel 1967, il 17 dicembre, nel segno dell’amata Vergine di Guadalupe, anche pensando che non ci poteva essere innovazione senza tradizione. Per questo vestiva l’abito talare e accettò dal cardinale Siri la direzione di Renovatio, dove egli criticò la teologia che da sinistra aveva fiancheggiato il Concilio, ma indicando, sin dal titolo della rivista, che il rinnovamento della Chiesa stava nella «nuova vita» data al cristiano dallo Spirito Santo, una renovatio che implicava la fedeltà alla dottrina e una presenza storica come testimonianza intellettuale e come libertà e laicità politica. In questo spirito promosse la Società dello Spirito Santo e di Maria Regina del mondo, negli anni Sessanta, dove è evidente questo suo progetto: essere santi per forza dello Spirito Santo ed essere testimoni della storia nel segno di Maria. Piccoli gruppi di fedeli, a Roma, a Genova, a Rovereto, ed altre persone isolate: una esperienza di grande formazione spirituale, durata pochi anni.

La Società fu chiusa da lui stesso, quando vide come, nel clima creato del Concilio, la conquistata libertà interiore minacciava di trapassare le norme fissate da Dio e dalla Chiesa. Egli aveva in ogni caso intuito che si era avviato per la Chiesa un tempo diverso: a partire dal dogma di Maria assunta con il corpo in cielo (1950), l’umano avrebbe avuto nella Chiesa una diversa considerazione. Era, in fondo, il segno che la tradizione di Israele poteva iniziare la via per entrare nella Chiesa. 

Egli si sentiva guidato da Dio, dal «piano di sopra», come egli spesso diceva. Ma nell’agosto del 1980 mi disse che non si sentiva più guidato, ma «dentro» il piano di sopra, e che questa condizione gli dava un senso di libertà in Dio e di potenza in Dio che non aveva prima conosciuto. Da ora comincia la sua attività politica – per così dire – più clamorosa. Ma alla politica aveva partecipato sempre. Passato ben presto dal dossettismo ad altre posizioni, aveva partecipato nel 1953 a Terza generazione promossa da Felice Balbo e diretta da Scassellati in una prima fase, ma poi diretta da lui. Essa rappresenta l’uscita dalla Dc. Diresse poi due altre riviste: L’ordine Civile e Lo Stato, con cui organizzò anche un minimo movimento politico di destra. 

Nel 1978, di fronte all’uccisione di Aldo Moro ed al rifiuto di ogni trattativa per salvarlo, che egli invece difese, si avvicinò a Craxi e al Psi. In questo spirito di libertà ed anti-cattocomunismo accettò la candidatura offertagli da Craxi alle elezioni europee del 1984 ed ebbe come è noto la sospensione a divinis. Ma non fu ribelle, rimase fedele alla Chiesa pur nelle sue libertà di coscienza. La sua profezia lo portava a difendere la Chiesa o, più che a difenderla, in qualche modo a guidarla in aiuto al Papa di Roma, al successore di Pietro, avente per oggetto immediato l’Italia. E intervenne coraggiosamente anche contro il Papa quando avvertiva che compiva azioni non all’altezza del suo ruolo. 

E per l’Italia il suo anticomunismo può spiegare molti suoi atteggiamenti. Il suo non era un anticomunismo viscerale. Era piuttosto la convinzione che il rifiuto della fede cristiana o il suo travolgimento nell’ateismo era generatore di negatività per la vita politica e civile dell’Italia. Anche se, dopo il 1989, il comunismo era stato vinto, non era quello che cambiava la cultura di chi partecipava a quel partito, anche se aveva cambiato più volte il suo nome. Così si comprende la sua partecipazione al Psi di Craxi, che aveva fatto autocritica proprio sul marxismo, e più tardi la sua partecipazione anche intellettuale e programmatica alla fondazione di Forza Italia. 

Il rapporto con Felice Balbo lo aveva convinto che la presenza del cristiano in politica doveva, nel segno di Tommaso D’Aquino, rispettare la laicità della politica diretta non dalla fede ma, come affermava Tommaso dalla ragione e dalle consuetudini storiche di ogni nazione. Su questa base egli ha da una parte affermato che la vita cristiana è vita mistica o non è e che il patrimonio dottrinale della Tradizione cristiana è elemento fondamentale dell’unità dei cattolici a Roma, ma ha anche d’altra parte sostenuto, come i suoi articoli di giornale documentano, una profonda laicità nei confronti dei fatti politici, laicità che non significava per altro l’esclusione dal giudizio dei fatti della Chiesa e dei cristiani.

Così negli ultimi decenni ha pubblicato molti libri dedicati alla mistica e alla dottrina cristiana e ha scritto un numero impressionante di articoli sulle condizioni politiche della Chiesa, dell’Italia e del mondo. 

Certo Gianni Baget ha visto, nella sua lunga vita, realizzarsi alcune, almeno, delle profezie da lui con voce sempre sicura pronunciate. Che egli conosca, ora, fino in fondo, il mistero del Padre. Egli mi ha detto in questi ultimi giorni: «Siamo servi inutili, ora che vedo all’indietro la mia vita lo ho capito, siamo servi inutili». Il Signore premierà anche questa sua piena umiltà. Il Signore sia lodato per avere dato un tale testimone di lui alla nostra generazione. 

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