Dal Vangelo secondo Matteo 17, 1-9

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».
All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.
Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

Commento al Vangelo della Domenica di don Gianni Baget Bozzo

Gen 12, 1-4
Sal 33
2 Tm 1, 8b-10
Mt 17, 1-9

Sul crinale tra il Vecchio e il Nuovo Testamento

La seconda domenica di quaresima parla della trasfigurazione di Gesù innanzi a tre apostoli: Pietro, Giacomo e Giovanni. La trasfigurazione è una anticipazione della risurrezione: nel corpo di Gesù appare la gloria divina, si aprono i cieli, compaiono Mosè ed Elia, le due figure fondatrici del popolo dell’alleanza, il popolo ebreo. Risuona la voce divina: «questi è il mio Figlio diletto, ascoltatelo».

I testi che parlano della vita comune o delle sofferenze di Gesù sono comprensibili a tutti. Infine il Vangelo fa parte della memoria dell’occidente, quasi del suo patrimonio genetico: dove il Vangelo parla dell’esperienza comune, esso ha una eco immediata. Ma in questo caso non si tratta di una esperienza comune, ma della risurrezione anticipata: il Padre è già nelle parole di Gesù, la divinità del Figlio traluce nel corpo umano dell’uomo di Nazareth. Le parole del Padre dicono al mondo che egli è il Messia d’Israele, figlio di Dio nel senso in cui lo era il re Davide. Lo splendore delle vesti e il brillare del volto ricordano quello che era già accaduto a Mosè, quando parlava con Dio sul Sinai.

La trasfigurazione, che annuncia la risurrezione, vuole dire ai discepoli che Gesù è superiore a Mosè e a Elia, poiché essi «conversano con lui». Egli è la pienezza della rivelazione fatta a Israele. L’alto monte della trasfigurazione è il nuovo Sinai. Ma Dio non dà una legge: dice semplicemente che Gesù è la sua Parola. E l’uomo Gesù colui che dà la nuova legge al posto di Dio. Siamo sul crinale tra Vecchio e Nuovo Testamento. Tutto il Vecchio Testamento è presente, tutte le sue immagini, tutta la sua dottrina. Ma qui viene il passaggio fondamentale: il corpo di Gesù sostituisce le tavole di pietra della legge data a Mosè.

Il corpo: è nel corpo che compare la gloria divina, persino nelle vesti. Nella carne, nel sangue, nelle parole, nella fisicità di Gesù di Nazareth. Il popolo a cui era stato proibito di fare immagini di Dio si trova di fronte ora a questo eccesso corporale, a questo trasparire divino in un corpo umano, a questo donarsi all’autorevolezza di una parola umana. Non poteva continuare così? Non poteva Gesù trasfigurarsi innanzi a tutto il popolo, con un evento pubblico come nel racconto dell’Esodo Mosè era stato pubblico? Ma Gesù rifiuta la potenza del miracolo, respinge il rigoglio del sacro. L’ha considerata una tentazione di Satana. Il potere del sacro è ambiguo, i miracoli sono solo interruzioni, lampi nella notte della quotidianità. E mai essi convincono se non colo-ro che amano credere in essi.

Dopo tanto splendore, i loro occhi «non videro più nessuno se non Gesù solo». E Gesù parla del suo corpo. Ne annuncia la morte. Il corpo in cui è rifulsa la gloria farà sua la morte dello schiavo. Mosè aveva fatto una morte pubblica, nella commozione di un popolo, dopo aver visto la terra della promessa, narrava il libro dell’Esodo. Elia era stato assunto in cielo sul carro di fuoco, annunciava il libro dei Re. Gesù diceva la sua morte e accompagnava tale parola con l’annuncio della sua risurrezione. Nemmeno quella sarebbe stata pubblica, anche se, come dice Paolo, egli apparve a più di cinquecento fratelli. Ma di questa gloriosa manifestazione non c’è traccia nei Vangeli.

Centrati sulla vita storica di Gesù di Nazareth, i suoi discepoli, che erano pieni della gioia della risurrezione, la supposero come un dato conosciuto. Così essi lasciarono la risurrezione non all’evidenza notarile, ma alla fede dei secoli cristiani.

Il più solenne degli eventi, che modificò la storia, non è un evento pubblico: fu dato non a chi aveva occhi per vedere, ma a coloro che hanno il cuore per credere.


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